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Cose d’agosto

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VIII

Quando fu che le particelle diventarono

L'uomo intero, e i caratteri e le credenze divennero

Carattere e credenza e le differenze presero

Differenza e fu tutt'uno? Dovette essere

Alla presenza di una solitudine dell'io,

Un'espansione e l'astrazione di un'espansione,

Una zona del tempo senza il ticchettio dell'orologio.

Un colore che si mosse grazie all'oblio.

Quando fu che udimmo la voce dell'unione?

 

Fu forse quando, seduti nel parco, l'arcaica forma

Di una donna con una nuvola in spalla

Si levò contro gli alberi e poi contro il cielo

E il senso dell'arcaico ci toccò d'un tratto

In un movimento nei tratti della somiglianza?

Alla vista ci somigliavamo.

Il colore smemorato dell'autunno

Era pieno di tali forme arcaiche, giganti

Del senso, evocanti la stessa cosa in molti uomini,

Evocanti uno spazio arcaico, dileguantisi

Nello spazio, lasciando solo il contorno della sagoma

Di quell'essere impersonale, il viandante,

Il padre, l'antenato, il signore barbuto,

La somma delle ombre umane lucide come vetro.

 

Wallace Stevens, “Cose d'agosto” da Aurore d'autunno.

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